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Dopo 16 mesi di prigionia a Gaza, Eli Sharabi è finalmente tornato a casa. Tra le prime cose che ha chiesto dopo la sua liberazione, avvenuta sabato a Deir al-Balah, c’era un paio di tefillin. Un desiderio che racchiude più di un semplice atto rituale: è l’espressione di una fede incrollabile, un legame profondo con l’identità ebraica che nemmeno le tenebre della prigionia hanno potuto spezzare.
Rabbi Shneur Raskin, emissario di Chabad ad Alfei Menashe, che è rimasto in contatto con la famiglia di Eli durante tutta la sua prigionia, era pronto ad aiutarlo. Gli ha subito procurato tefillin speciali, consegnati in borse ricamate su misura con un messaggio carico di affetto e unità: "L’intera nazione di Israele ti abbraccia."
La sua liberazione avviene nel quadro di un recente accordo per il rilascio di ostaggi. In un contesto segnato dal dolore, la sua richiesta è un segno di continuità e forza, un gesto che illumina il ritorno.
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