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Vayerà: La Sequoia e la Forza dell'Unità

Immaginate una sequoia gigante, uno degli alberi più alti e più longevi del pianeta, che cresce nei boschi della California. Con i suoi 120 metri di altezza e 15 metri di diametro, la sequoia è una meraviglia della natura. Ma ciò che è più straordinario di questa pianta, che può vivere per migliaia di anni, non sono le sue dimensioni o la sua longevità. È la sua forza. La chiave di questa forza non sta nel singolo albero, ma nelle sue radici. Le radici di ogni sequoia si intrecciano con quelle delle altre, formando una rete impenetrabile che rende l'intero bosco indistruttibile. Ogni albero, pur essendo unico e distinto, è legato profondamente agli altri.
Questa metafora della sequoia è una potente immagine per il popolo ebraico, che trova nella Torah il fondamento della sua unità e della sua resilienza. Ogni ebreo, pur nella propria unicità, è legato agli altri attraverso una forza invisibile che trascende le differenze individuali. Quando si uniscono e si intrecciano come le radici delle sequoie, gli ebrei diventano invincibili.

Lot e l'Ambivalenza: La Lotta Interiore tra Bene e Male

La Torah, in particolare nella parasha di Vayerà, ci offre una lezione fondamentale sul significato di unità e di perseveranza nelle difficoltà. Questa parashà ci aiuta a comprendere il conflitto interiore che ogni ebreo può sperimentare di fronte alle sfide della vita. La storia di Lot, come descritta nella Torah, è una riflessione potente sulla lotta tra il bene e il male, tra la salvezza e la tentazione, tra la volontà di camminare sulla retta via e l’attrazione delle cose terrene. Lot, infatti, è il prototipo dell’uomo diviso: pur conoscendo il giusto e avendo come modello il patriarca Avraham, Lot non riesce a liberarsi dalla sua connessione con Sodoma, la città in cui si trova, intrappolato in una spirale di indecisione e ambivalenza.
La Torah racconta il suo stato d’animo con la parola "Vayitmama", un termine che esprime indecisione e esitazione. Questo termine è accompagnato dalla cantillazione (nota) speciale chiamata Shalshelet, che rappresenta un intreccio tra il bene e il male, tra la volontà di partire e il desiderio di restare. Il suono di Shalshelet, che appare solo quattro volte in tutta la Torah, è come il movimento a zigzag di una catena, un simbolo di quella lotta interiore che è la vera sfida di Lot. Le sue radici sono divise tra due mondi: il desiderio di salvarsi rafforzando l'unione con D-o e il legame con la sua posizione di potere, di giudice, nella città di Sodoma.
Sebbene Lot sappia che deve fuggire per salvarsi, il suo cuore rimane legato alla città, alla sua carriera, alla sua vita precedente. L’ambivalenza di Lot è accentuata dal fatto che, come giudice di Sodoma, Lot ha visto in prima persona la perversione della sua gente. Non è stato un innocente, ma piuttosto un uomo consapevole delle ingiustizie intorno a lui, un uomo che ha cercato di difendere gli altri, ma che alla fine è stato rifiutato dalla propria gente: quando i due angeli arrivano a casa sua per salvarlo, Lot li accoglie, ma si rende conto che la sua stessa persona non è più la benvenuta e non viene più trattato da uomo rispettato. Anzi, gli stessi abitanti di Sodoma, coloro che lo avevano visto come giudice, ora lo trattano come un “estraneo”, un ebreo.
È proprio questo il punto di rottura per Lot, il momento in cui capisce che la sua appartenenza a quella terra è ormai finita. Eppure, nonostante la sua consapevolezza, Lot esita, indeciso fino all’ultimo se lasciare tutto ciò che ha conosciuto. La sua scelta finale di non girarsi, di non guardare indietro, è un atto di forza, ma anche di dolore. Lot ha fatto la sua scelta, ma l’ha fatta a malincuore, perché il legame con il passato è difficile da spezzare, come una catena che trattiene.

La Forza dell'Unità e la Fiducia in D-o

Questo concetto di ambivalenza non è solo un tema biblico, ma risuona profondamente nella nostra realtà contemporanea. Così come Lot si trovava combattuto tra la sua vecchia vita e la necessità di salvarsi, oggi molti ebrei si trovano tra due mondi: quello della tradizione e quello di una diaspora che, spesso, li rifiuta.
L'antisemitismo, purtroppo, è ancora una realtà potente, come dimostra il pogrom di Amsterdam dell'8 novembre, quando gruppi organizzati hanno dato vita a una vera e propria caccia all’ebreo. Come Lot, molti ebrei si sentono divisi tra la sicurezza di una vita che non li accetta e la consapevolezza che la vera sicurezza si trova solo nel legame con la Torah, la fede e il ritorno a Gerusalemme.
In questo contesto, come ebrei, siamo chiamati a trovare la nostra forza. La lezione che possiamo trarre dalla storia di Lot è che, anche quando siamo divisi interiormente, anche quando il mondo esterno ci respinge e ci fa sentire estranei, la Torah e le mitzvot sono la nostra vera casa. Il legame con D-o, che ci protegge e ci guida, è l'unica via per superare la tempesta.
Così come la sequoia cresce forte e diritta nonostante le tempeste, anche noi possiamo affrontare le difficoltà della vita con forza, se restiamo radicati nella nostra fede. In questi momenti di incertezza e paura, quando siamo chiamati a prendere una posizione, dobbiamo ricordare che la nostra forza non deriva solo da quello che possiamo fare, ma da come ci rivolgiamo a D-o.
La battaglia si vince con la preghiera, con la fede, con l’impegno a seguire la Torah, come se la nostra vita dipendesse da esse, come le radici profonde di una sequoia. Nonostante le sfide, nonostante l’odio che ci circonda, noi siamo chiamati a rimanere fedeli, come le radici che non cedono, ma si intrecciano, si rafforzano e crescono in unità.


Articolo tratto da una lezione di Rav Michi Nazrolai. Per ulteriori approfondimenti: VAI ALLA VIDEO LEZIONE

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