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Perché siamo paragonati a una candela?

**Lag BaOmer è la festa della luce. Per prepararci, analizziamo tre caratteristiche che differenziano la candela dalla fiamma.

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In ogni sinagoga c’è un’usanza antica: mantenere un lume sempre acceso. Anche oggi, sebbene non sia più alimentato a olio, quel lume – il Ner Tamid – richiama il fuoco eterno che ardeva nel Santuario. È il simbolo della nostra anima, che deve rimanere costantemente accesa, costantemente illuminare.

Non basta brillare solo in certi momenti, ad esempio quando ci si trova in sinagoga. La luce dell’anima non è un interruttore che si accende solo in un ambiente sacro. Come nel Santuario, dove almeno il lume centrale era sempre acceso, anche noi dobbiamo fare in modo che la nostra luce interiore non si spenga mai. Magari non tutti i lumi saranno accesi allo stesso modo, ma quello centrale – il fulcro – deve rimanere vivo.

Per capire cosa significhi “accendere sempre la nostra anima”, possiamo riflettere su tre differenze tra la candela e la fiamma.

1. Il fuoco sale, la cera scende: la tensione dell’anima verso l’alto

La candela – la cera o l’olio – è soggetta alla forza di gravità: tende verso il basso. Il fuoco, invece, fa l’opposto: sale verso l’alto.

Nel capitolo 19 del Tania, si spiega che il fuoco è diverso da ogni altro elemento della natura. Mentre tutto tende verso il basso secondo le leggi fisiche, il fuoco tende verso l’alto perché la sua origine si trova in alto, sotto il Galgal HaYareach – l’orbita lunare – dove ha radice ogni fiamma. Come ogni cosa cerca di ricongiungersi alla propria fonte, anche il fuoco tende a salire verso la sua essenza.

Il Tania ci insegna che, persino se la fiamma – staccandosi dalla candela – dovesse spegnersi, essa comunque tenderebbe a salire, perché il suo desiderio più profondo è ricongiungersi alla sua radice. È una realtà spirituale che sfugge alla logica materiale: ogni creatura desidera esistere; nessuna, tranne il fuoco, è disposta ad annullarsi pur di tornare alla propria essenza.

Così è l’anima. Anche se desidera vivere, non è disposta a esistere a scapito della propria verità interiore. Quando si chiede a un’anima di agire contro D-o – la sua essenza – la sua risposta naturale è il rifiuto, anche a costo della propria esistenza.

È il principio per cui la Torà insegna che non si può adorare un idolo nemmeno sotto minaccia di morte. Allo stesso modo, non si può uccidere un altro per salvare sé stessi: chi può dire che il proprio sangue valga più di quello dell’altro?

Questo ci insegna che esistono limiti invalicabili, valori per i quali si è disposti a sacrificarsi. Come la fiamma preferisce spegnersi piuttosto che allontanarsi dalla sua radice, così l’anima non può vivere contro la sua natura divina.

Siamo una fusione di corpo e anima, come una candela fatta di cera e fuoco. Il corpo tende verso il basso, verso i piaceri materiali. L’anima, invece, cerca elevazione e connessione con il divino.

Questa tensione è il cuore del nostro vivere. Il compito è dare sempre più spazio all’anima, affinché prevalga sulla gravità della materia.

C’è una storia che lo illustra bene.
Un gruppo di studenti universitari ebrei, non particolarmente religiosi, ebbe un’udienza privata con il Rebbe. Uno di loro gli chiese con tono provocatorio:
«È vero che fai miracoli?»
Il Rebbe rispose con calma:
«Ognuno può fare miracoli. Anche tu. Anche voi.»
«Cos’è un miracolo?» spiegò.
«È andare contro natura.
La natura dell’uomo è pensare: cosa mangio oggi, come mi diverto, come faccio soldi. Ma se una persona si sveglia e pensa: come posso pregare oggi, come posso elevare la mia anima – questo è un miracolo.»

Siamo qui per compiere questo miracolo: trasformare la materia in spirito. Gli angeli non hanno questa possibilità, perché sono puro spirito. Noi sì. E quando vinciamo questa sfida interiore, realizziamo il miracolo di vivere secondo la nostra essenza.

2. Il lume della candela illumina, la cera no: vivere accesi o spenti

Il fuoco sale, la cera scende. È il simbolo della nostra sfida interiore, costante e quotidiana. Ogni istante ci offre la possibilità di scegliere cosa alimentare: la materia o lo spirito.

Una parola buona, una visita a un malato, un atto di bontà, una preghiera, un salmo: tutto questo è luce. Solo la fiamma porta luce. La cera, da sola, non illumina nulla.

Quando una persona vive solo per il corpo, focalizzandosi su piaceri e consumi, è spenta. È spenta la sua vita, è spenta la sua casa, è spenta la sua anima.

Ma se si cammina con dei valori, si studia Torà, si compiono opere di bene, allora si porta luce nel proprio mondo.

3. La fiamma si moltiplica donando

La terza differenza – forse la più significativa – è che da una fiamma si possono accendere infinite altre candele, senza che la fiamma originaria si riduca.

A Lag BaOmer, 33º giorno dell’Omer, si celebra la luce. Lo Zohar, che significa “splendore”, viene onorato accendendo fuochi, perché da una fiamma si possono accendere infinite luci.

Al contrario, la parte materiale – la cera – se viene consumata, diminuisce.

Così è lo spirito. Chi vive nello spirito, più dà, più si accresce. Chi vive nella materia, ogni dono lo percepisce come una perdita.

Di Moshe Rabbenu è scritto nel libro dei Numeri – e ribadito in Devarim – che era come una candela dalla quale tutti i saggi potevano attingere luce, senza che a lui mancasse nulla.

Chi dona con spirito non teme di perdere. Anzi, percepisce che il dono stesso è una benedizione. È certo che D-o continuerà a donare, perché la sorgente non si esaurisce.

Chi invece si sente impoverito dal dare, vive nella materia. La sua fiamma è spenta.

Ecco perché ci sono persone che non tollerano la felicità altrui: vivono nella parte materiale della candela, dove ogni dono è una sottrazione, ogni successo altrui una minaccia.

Ma chi vive nello spirito può accendere migliaia di candele e restare integro. Può dare con generosità e gioia, può essere sinceramente felice per gli altri.

Noi dobbiamo arrivare a questo.

Se valorizziamo la nostra anima, la fiamma spirituale, potremo essere sinceramente felici per il bene degli altri. Potremo donare con leggerezza, con gioia, con generosità.

Perché dare è davvero la cosa più bella al mondo.
Ma non tutti hanno questo dono: la capacità di essere felici mentre stanno dando.

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